L’infinito, una delle liriche più belle di tutta la letteratura italiana, compie 200 anni.
Venne composta da Giacomo Leopardi proprio nel 1819 e con il suo testo, così apparentemente semplice, eppure così ricco di significati profondi, rimane un’opera senza età, che continua ad emozionare i lettori di tutte le epoche e generazioni.
Attraverso i suoi versi Leopardi si rivolge all’uomo di ogni tempo, ad ognuno di noi, e ci porta in mondi lontani e remoti, in un’epoca in cui l’uomo sapeva ancora ascoltare i “sovrumani silenzi” e la “profondissima quiete”.
Durante i suoi lunghi e solitari pomeriggi, il giovane poeta saliva su quel colle vicino alla sua villa a Recanati, e si lasciava andare all’immaginazione, sognava di lasciare il suo piccolo paese che lui sentiva come una prigione, e che nella poesia paragona ad una siepe: l’ostacolo che gli impedisce di vedere l’orizzonte nascosto dietro di essa.
Ma è proprio grazie a quella siepe che gli nasconde la visuale, se la sua mente può spiccare il volo e concedersi il lusso di fantasticare mondi favolosi e lontani, che il suo sguardo non può vedere ma che la sua anima può sentire.
“Ma sedendo e mirando, interminati Spazi di là da quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo; ove per poco Il cor non si spaura. E come il vento Odo stormir tra queste piante, io quello Infinito silenzio a questa voce Vo comparando: e mi sovvien l’eterno, E le morte stagioni, e la presente E viva, e il suon di lei. Così tra questa Immensità s’annega il pensier mio: E il naufragar m’è dolce in questo mare.”
E dopo 200 anni, questa poesia è ancora in grado di trasportarci proprio là, su quel colle, in compagnia di un ragazzo triste e romantico, e ci permette di lasciarci andare e sognare insieme a lui.