La globalizzazione, economica, politica e culturale, ha portato ad un mondo che, gradualmente ma velocemente, non conosce più confini territoriali e distanze fisiche incolmabili.
Anche la conoscenza e lo studio quindi, non possono più limitarsi ad un concetto di luogo o nazione, ma devono sempre più diventare “europei”.
Il progetto Erasmus partiva tanti anni fa proprio da questa visione ed oggi compie trent’anni. Nel 1988 partirono i primi 45 studenti e ne furono accolti 20 da fuori Italia. Da quel momento in avanti generazioni e generazioni di studenti universitari hanno potuto spostarsi all’interno del continente europeo, e avere la possibilità di completare il loro percorso di studi in università e atenei lontani da casa.
Negli anni la passione per i progetti Erasmus non si è spenta nei giovani, anzi: nel 2018-2019 le domande di mobilità sono state 3200, andando a raddoppiare il dato di 1700 che risaliva al 2013-2014.
I Paesi partecipanti sono 34 e al primo posto troviamo la Spagna, con la percentuale di studenti coinvolti che supera il 30%; a seguire la Francia con il 22% e Germania col 10%.
Secondo i dati statistici inoltre, i ragazzi che hanno fatto l’Erasmus si sono laureati prima e meglio rispetto ai compagni rimasti a casa. Inoltre trovano prima lavoro, guadagnando di più e hanno un’apertura mentale più ampia, che li spinge anche a guardare all’estero, nella ricerca del proprio posto nel mondo.
“L’Erasmus è studio, non certo turismo – commenta Umberto Morelli, coordinatore del programma Erasmus – ma lavora sulla formazione dei ragazzi, recuperando il significato originario del Paideia, cioè la crescita personale e sociale dei giovani”.