Come vive la gravidanza una mamma straniera in Italia?

593

Ogni donna, all’idea di affrontare una gravidanza, la immagina come un periodo di profonda serenità, da vivere circondata dalle persone che ama, come il compagno, i propri fratelli e sorelle, gli amici. Immagina di essere seguita e coccolata dal personale medico dell’ospedale che la prenderà in cura, sia nel periodo dell’attesa che in quello successivo alla nascita del suo bambino.

Purtroppo molto spesso questo non accade per le donne straniere che in Italia si trovano a vivere questa esperienza lontano dal loro paese di origine e di conseguenza dalla propria rete familiare, spesso anche dal marito. Si ritrovano in un Paese di cui conoscono poco usanze e lingua, faticano a comprendere ciò che il personale medico spiega loro, ad accedere ai servizi sanitari nazionali.

Da un rapporto di Save the children relativo al 2018 emerge che le difficoltà maggiori per queste donne derivano proprio dalla barriera linguistica, dalla lontananza dei cari e dalla difficoltà ad accedere ai servizi di Welfare State.

Ma questo è un problema che non andrebbe ignorato se si considera che, secondo gli ultimi dati Istat disponibili, circa 91 mila bambini nati nel 2018 in Italia hanno una mamma straniera. Spesso sono donne giovani, che arrivano da Paesi come l’Albania, il Marocco e Ucraina, oltre che dal territorio sud-africano. Le ragioni che le portano nel nostro Paese sono diverse ma quello che le accomuna soprattutto in situazioni particolari come una gravidanza è il senso di solitudine e smarrimento. Spesso effettuano la prima visita in ritardo, quasi sempre per timore o incapacità di affrontare le istituzioni. Ci sono situazioni per queste donne molto difficili da accettare dal punto di vista culturale, come il taglio cesareo, che per loro è visto come una profonda umiliazione e come un’accusa di non essere in grado di partorire il proprio figlio. Per questo è assolutamente necessaria la presenza nei consultori di un mediatore culturale, preferibilmente donna, per trasmettere loro i messaggi nel modo più giusto e rassicurante possibile.

Servono poi aiuti materiali, come centri di raccolta di vestiti, passeggini e tutto l’occorrente per un neonato, e servono soprattutto aiuti emotivi, che incoraggino le donne a tenersi in contatto con i servizi, a fare gruppo e ad avere fiducia nelle loro risorse e competenze.

Print Friendly, PDF & Email