Marco Tullio Cicerone nasce ad Arpino nel 106 a.C. da una famiglia benestante, tanto da potersi permettere studi a Roma di retorica e filosofia che lo introducono nel foro sotto la guida del grande oratore Lucio Licinio Crasso e dei due Scevola.
La sua vita è un susseguirsi di tappe, comincia nell’89 a.C. prestando servizio militare nella guerra sociale con Pompeo Strabone e prosegue con il suo debutto come avvocato nell’81 a.C. o forse prima. Nell’80 affronta la sua prima causa importante, difende Sesto Roscio dall’accusa di parricidio da parte di potenti membri del clan sillano, che erano a capo della fazione aristocratica. La difesa a Roscio fu un banco di prova duro per Cicerone perché dovette accusare personaggi illustri dell’epoca e per paura di rappresaglie fu “costretto” a non toccare direttamente il padrone di Roma, lo stesso Silla. Dopo il successo dell’orazione e forse anche temendo per la sua vita, tra il 79 e il 77 fece un lungo viaggio in Grecia e in Asia Minore per perfezionare la sua arte oratoria nelle prestigiose scuole di Rodi.
Rientrato a Roma dopo la morte di Silla, Cicerone ricoprì nel 75 a.C. la carica di “questore” in Sicilia. Si mostrò integerrimo e scrupoloso nel suo lavoro tanto che dopo qualche anno, precisamente nel 70, i siciliani gli affidarono una causa molto difficile contro il potente ex governatore Verre accusato di avere sfruttato a suo favore il potere concessogli. Dimostrando prova di grande abilità, Cicerone raccolse in breve tempo tutte le prove necessarie contro Verre, il che gli permise anche di anticipare i tempi del processo che altrimenti avrebbero avvantaggiato l’ex governatore (uno dei due consoli designati per il 69 era Quinto Ortensio Ortalo grande avvocato e difensore di Verre nel processo). Durante il dibattimento Cicerone non potè presentare tutta l’ingente mole di testimonianze raccolte in quanto Verre si era dato alla fuga fuori dall’Italia dopo pochi giorni. Schiacciato però dalle accuse venne condannato in contumacia.
Nel 63 Cicerone continua la sua ascesa politica divenendo console e affrontando un altro personaggio nemico della res pubblica: Lucio Sergio Catilina. Quando Cicerone rivelò le intenzioni di Catilina davanti al senato, questo votò il senatus consultum ultimum, un decreto di emergenza che dava pieni poteri ai consoli e con un attacco durissimo pronunziò l’8 e il 9 novembre, il 3 e il 5 dicembre le sue celebri Catilinarie. La I e la IV davanti al senato, la II e la III davanti al popolo. L’Arpinate si presentava così come il campione della legalità repubblicana e come difensore dell’ordine costituito.
Dopo la formazione del primo triumvirato, che Cicerone guardava con preoccupazione per l’autorità senatoria, Pompeo, Crasso e Cesare avevano firmato un vero e proprio patto privato, il suo astro comincia a declinare. Nel 58 verrà mandato in esilio per aver condannato a morte senza processo i seguaci di Catilina e la sua casa viene rasa al suolo. Nel 57 rientra trionfalmente a Roma e comincia a scrivere il De Oratore, il De Republica continuando a svolgere la sua attività forense e cercando una difficile collaborazione con i triumviri. Nel 51 ancora una volta dovrà allontanarsi da Roma per andare in Cilicia dove sarà nominato governatore ma, allo scoppio della guerra civile nel 49, aderirà con poca convinzione alla causa di Pompeo tanto da non essere presente alla battaglia di Farsalo del 48 a.C. Dopo la sconfitta di Pompeo otterrà il perdono di Cesare, ormai figura decisiva nel panorama romano, ma si allontanerà ancora dalla scena politica dedicandosi alla scrittura del Brutus e dell’Orator.
Solo dopo l’uccisione brutale di Cesare, che accolse con giubilo, Cicerone tornò ad essere un politico di spicco. Ma i guai per la res publica e per l’arpinate non erano finiti. Sulla scena politica il più stretto collaboratore di Cesare, Marco Antonio, mirava ad assumere un ruolo di spicco così come il giovane Ottaviano, erede di Cesare e con un esercito personale al suo fianco. Lo scopo politico di Cicerone era quello di staccare Ottaviano da Antonio e farlo rientrare sotto le ali protettrici del senato, ma la mossa si rivelò fatale. Per indurre il senato a muovere guerra contro Antonio e a dichiararlo nemico dello Stato, Cicerone cominciò a pronunciare a partire dal 44 a.C. diciotto orazioni, le Filippiche o le Antonianae, in Cui Antonio viene presentato come un tiranno dissoluto, un ubriacone e un ladro di denaro pubblico. La svolta che cambiò completamente lo scenario a Roma fu il repentino voltafaccia di Ottaviano che staccandosi dal Senato firmò un patto, chiamato secondo triumvirato proprio con Antonio e un altro capo cesariano, Lepido.
I tre divennero padroni di Roma e Antonio pretese la testa di Cicerone, il cui nome venne inserito nelle liste di proscrizione. A Formia, dove risiedeva, l’Arpinate venne raggiunto dai sicari di Antonio e venne brutalmente ucciso il 7 dicembre del 43 a.C.