Quinto Orazio Flacco nacque a Venosa, una colonia militare romana tra Apulia e Lucania, l’8 dicembre del 65 a.C.
Le sue origini erano modeste, il padre era un liberto (probabilmente un ex schiavo pubblico) ed era proprietario di una piccola proprietà; successivamente si trasferì a Roma dove esercitò il mestiere di esattore nelle vendite all’asta. Nonostante le umili origini a Orazio fu assicurata la migliore istruzione. Compiuti i primi studi a Venosa, il padre lo portò a Roma dove frequentò la scuola del grammatico Orbilio; un personaggio abbastanza singolare secondo lo stesso poeta che, per convincere a studiare l’Odusia di Livio Andronico, prendeva a nerbate i suoi studenti. Attorno ai vent’anni, com’era solito per i giovani benestanti, Orazio andò in Grecia a perfezionare i suoi studi. Ad Atene approfondì le sue conoscenze filosofiche frequentando le lezioni di maestri come Cratippo di Pergamo, un filosofo peripatetico, e di Teomnesto, un accademico. Ma la sua vita da studente venne bruscamente interrotta dagli eventi storici che la Grecia affrontava in quel periodo: i Cesaricidi ne avevano fatto la loro base operativa e il più che ventenne Orazio non potè non restare affascinato dagli ideali di libertas che gli si presentarono. Si arruolò con il titolo di tribuno militare (cosa non da poco per un figlio di liberto) nell’armata repubblicana di Bruto ricevendo il comando di una legione. A Filippi, 42 a.C., si interruppero i suoi sogni militari, con ironia dirà in seguito, riprendendo autori greci come Archiloco, Alceo e Anacreonte, di avervi abbandonato lo scudo (nell’antica Grecia chi abbandonava le proprie armi, in particolare lo scudo, era un codardo).
Nel 41 a.C. tornò a Roma grazie ad un’amnistia, ma il suo fondo di Venosa gli era stato confiscato dai triumviri tanto che dovette impiegarsi come scriba quaestorius per poter guadagnarsi da vivere. Probabilmente comincia da qui la sua attività poetica; nel 38 a.C. Virgilio e Vario lo presentarono a Mecenate, uomo di lettere e protettore di letterati, nonché ministro di Ottaviano. Dopo nove mesi, Orazio fu ammesso nel circolo di Mecenate e probabilmente nel 33 a.C. il maestro gli donò anche un podere nella campagna sabina, dove poter vivere tranquillamente lontano dagli affanni e dalla vita politica di Roma.
Da questo momento la vita del venosino fu interamente dedicata alla poesia e alla pubblicazione delle sue opere sotto il patronato di Mecenate, e più tardi sotto la protezione dello stesso princeps Augusto. Sappiamo che Augusto offrì ad Orazio un posto come segretario personale, ma questi rifiutò preferendo continuare a vivere tranquillamente dedicandosi alla poesia. Nell’8 a.C. Mecenate morì raccomandandolo alla benevolenza di Augusto, ma solo due mesi più tardi, il 27 novembre anche Orazio lo seguì nella tomba.
La produzione poetica di Orazio comprende un libro di Epodi, due libri di Satire, quattro libri di Odi e due libri di Epistole.
Vogliamo ricordare il grande poeta di Venosa con alcuni tra i suoi versi più celebri, che lo hanno reso immortale.
Hor. carm. 1,11
Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros. ut melius, quidquid erit, pati.
seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum: sapias, vina liques, et spatio brevi
spem longam reseces. dum loquimur, fugerit invida
aetas: carpe diem quam minimum credula postero.
Tu non domandare – è un male saperlo –
quale sia l’ultimo giorno che gli dei, Leuconoe, hanno dato a te ed a me,
e non tentare gli oroscopi di Babilonia.
Quanto è meglio accettare qualunque cosa verrà!
Sia che sia questo inverno – che ora stanca il mare Tirreno sulle opposte scogliere –
l’ultimo che Giove ti ha concesso,
sia che te ne abbia concessi ancora parecchi, sii saggia,
filtra il vino e taglia speranze eccessive,
perché breve è il cammino che ci viene concesso.
Mentre parliamo, già sarà fuggito il tempo invidioso:
cogli il giorno, fidandoti il meno possibile del domani.