Negli ultimi anni la moda di studiare all’estero è cresciuta a dismisura, e sono tanti i licei che fanno convenzioni con istituti stranieri. Ormai la fuga dei cervelli non riguarda solo più i laureati che cercano fuori dal Bel Paese una carriera di successo, ma anche i cervelli in formazione che ancora frequentano la scuola.
Sfruttando infatti la normativa europea sugli scambi culturali, sempre più studenti si orientano a trascorrere l’intero quarto anno, o qualche mese in un paese straniero, in modo da essere già pronti ad affrontare un futuro studio o lavoro in un paese di cui già conoscono e parlano la lingua. Le mete preferite sono gli Stati Uniti, l’Australia e l’Inghilterra. A dirla tutta lo Stato italiano non incentiva più di tanto questa esperienza,le scuole non danno fondi e sempre più sono le agenzie private che organizzano scambi tra famiglie. Quale la convenienza? Da una lato sicuramente l’esperienza di poter confrontarsi con culture diverse, sono dopotutto sempre motivo di arricchimento, dall’altro ci si aspetta che al rientro lo studente non debba subire una estenuante tour de force di interrogazioni , se il periodo non copre l’intero anno. Una tutela dovrebbe esserci nella Circolare del Ministero del 2013 che ricorda alle scuole che gli studenti non possono essere interrogati su tutto il programma svolto in Italia mentre erano all’estero, dove i programmi erano sicuramente diversi, ma la beffa è che resta indeterminata la quantità e la qualità della preparazione richiesta e anche la valutazione di ciò che il ragazzo ha fatto all’estero. Danno o beffa?