Secondo un articolo ANSA degli ultimi giorni, l’82% dei docenti intervistati in un sondaggio facebook sarebbero favorevoli all’introduzione delle telecamere in classe.
A proporre il quesito è l’Associazione Professione Insegnante che ha visto rispondere circa un migliaio di docenti, la maggioranza favorevolmente.
L’esigenza della telecamera nascerebbe dal bisogno di fornire uno strumento probatorio in casi di violenza grave, sia da parte degli alunni nei confronti degli insegnanti, sia nella situazione opposta.
Sarebbe però inesatto affidarsi solo al risultato di un sondaggio, che vede coinvolta una parte degli insegnanti italiani. Molti sono infatti coloro che ritengono l’uso di telecamere negli istituti scolastici per contrastare il fenomeno del bullismo un provvedimento sbagliato.
Le norme riguardanti la videosorveglianza sono giustamente rigide: la norma è ripresa dal Codice Privacy che impone la gradualità e i principi di necessità, finalità, legittimità e correttezza, proporzionalità e non eccedenza del trattamento, nonché l’obbligo di informativa del lavoratore. La videosorveglianza è infatti un’attività particolarmente invasiva e le sue finalità di sicurezza pubblica o accertamento di reati sono di competenza esclusiva degli organi giudiziari e delle Forze Armate.
Inoltre per questi docenti accettare la presenza di una telecamera in classe sarebbe come ammettere la propria incapacità di essere rispettati come persone e come insegnanti.
La consapevolezza di essere costantemente monitorati finirebbe col contaminare la spontaneità delle relazioni umane all’interno della classe e anche gli eventuali scontri di opinione.
L’introduzione di dispositivi di sorveglianza non farebbe quindi che certificare la morte del sistema d’istruzione nel suo insieme e trasformerebbe le scuole in una sorta di prigioni. La vera soluzione è dunque lavorare sulla crescita dei ragazzi e sulla loro formazione come misura preventiva e non, in un secondo momento, con strumenti repressivi.